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Il piccolo mendicante

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  In un albergo a mensa un dì sedevo
di un modesto sobborgo forestiero;
né quel che vidi ancor mi sembra vero,
ma quel che udì sentir giammai credevo.

 Fra gli altri intervenuti v'era un tale
(un gran signor panciuto) col suo cane:
mangiava a crepapelle e dava il pane
con altri cibi ghiotti all'animale.

  Sostava nell'ingresso un bimbo afflitto
chiedendo carità con verbo fioco;
a piedi nudi stava e avea di fuoco
dal pianger fatto gli occhi quel bel citto.

  Mettendogli mercè fra le tremanti
Manine, volli chieder, con amore:
-E il babbo tuo dov’è?- Oh, buon signore!
-rispose il bimbo- è morto... e siamo in tanti!

  È morto il babbo e in cinque ci ha lasciato:
io sono il grandicello- e più tremava;
-La mamma è inferma, e a letto cuce e lava
e prega per chi a me qualcosa ha dato-.

 Ah! chi negar poteva all'orfanello
un soldo, solo un soldo ch'è già niente?
Eppure al mondo ancora sguazza gente
che la pietà si prende per zimbello.

  Passò dal gran signore e questo, infido,
le disse:-Passa a largo, impidocchiato!
La gente non si secca, scostumato!-...
e un pezzo di leccume porse a "fido".

 Chinò la testa il bimbo e poi scoppiò,
smarrito, uscendo, in un dirotto pianto...
Ah, quale scena acerba! Quello schianto,
l'affanno di Epulone mi sembrò.

05-05-1959.