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Al dott. Salvatore Saraceno

-Console d'Italia a METZ-
con affetto filiale.
-o-

 Tu lascerai ogni cosa diletta
più caramente, e questo è quello strale
che 1'arco dello esilio pria saetta."
(Par. XVII. 55-57.)

 Signor Console, grazie! grazie tante
del nobile e gentile Suo pensiero!
Il mio piacer si eleva a Lei costante.
 Conceda or Sua bontà a questo sincero
peregrinar di senno, ove mi è caro
l'ingrato Fato obliar col suo...mistero.
 M'avesse miglior Diva in sen preclaro,
o avessi miglior arpa o miglior mano,
cotanto non sarei di stile avaro;
 ma 1'Arte inclita e rara il Bel Sovrano
a me giovar non degna e indarno stento
frugar storpiati versi in pianto arcano.
 Chi è schiavo di buon cuor non è contento:
si perde nell'amar le belle cose
e il bello gli contrasta il suo tormento;
 tacesse almen, sì che le tenebrose
pendici di mia valle alfin salire
potevo, col mio nulla, deliziose...
 Perchè dov'è l'affanno, a volte, il dire
non ha suono? Son muti i patimenti
quand'è sola Natura a proferire:
 quale a tenero fior ch'è fra gli spenti
germogli di una zolla arida e trita,
smunto ogn'ora da secchi e freddi venti:
 umor non l'alimenta e l'assopita
semente sua di doni bei profusa
selvaggio stelo innalza ad umil vita.
 Eppur frugar mi è dolce: la confusa
memoria inferma allor mi par librare
per liti ascosi in ali a pace infusa.
Ma di chi vo dicendo? Vano andare
a tante mende mie cercar cagione!
Chi d'arpa corda in sen mi fè vibrare?
Divoto illustre d'Argo (a Lei Giunone
eguale ufficio ha dato; grave impiego!),
il gesto Suo diè vita al mio sermone.
 Che dignità tutrice! L'alto piego
trabocca di calor qual fiamma ardente
di luce pura, più che non allego.
Oh, figlio di Trinacria! eccelsa mente
che Sue le pene fa, l'amaro esiglio,
in giorno sì divino, di Sua gente!
 Il nesso che convien tra padre e figlio
la falsa libertà lo va scemando,
e mostra, sorda, immane lo scompiglio.
 i Caino ancor l'atroce brando
l'orrore a seminar, e la guerriglia
del Mal despota a porre al vil comando?
 Il ceppo più sublime, la famiglia,
a stento si sostiene dove geme
l'amor dall'utopìa posto in briglia...
 Ma noi che siam d'Ausònia puro seme
d'invitta civiltà, d'affetti carchi,
fedeli siamo e tema non ci preme;
 il sangue nostro è integro e non ha varchi:
amor ci pulsa e amor non ci divide
se pur cadranno templi nostri ed archi.
 E qual potenza bruta di un Alcide,
e qual condanna ancor di Colosseo
la Fede può fermar che cuor c'incide?
 Il mostro che degrada l'imeneo
nel sangue suo cadrà di suo pugnale,
e il Cielo avrà novello Cireneo...
  Che cruenta legge umana! insito il male
la stirpe d'Eva alberga a ciechi intenti
di sua caduca gloria; il regno frale
 obliare fanno oscuri sentimenti
e il Ben che ogn'or conduce all'Altra Riva
al sangue giace e all'oro in muti accenti.
 Ma quando l'ora tace e, fredda, priva
di lume il guardo bieco, il grave esempio
impara il cuore e il senno nutre e avviva.
 0h, qual prodigio invita al Sacro Tempio!
"Risorgi!" par che dican le campane...
è questo il dì che sfida il pravo e l'empio:
 rinnova il voto il pio su le lontane
vicende; trema, vinta, l'alma tetra
dal Legno spoglio eretto a gioie umane;
 rifulge di terror 1'erema Pietra:
nel Sen Trafitto cela sua speranza
compunto chi s'avvisa, e pace impetra.
 La rara di Natura arte e possanza
risplende tutt'intorno, giammai tanto
a questo dì (solenne Sua sembianza
  in ogni cosa Sua): soave il canto
del mite augel felice e dolce il coro
di rivi, fonti e brezza (eterno incanto!);
 già sciolto il vel d'argento, sul pianoro
feconda ferve Igea, su le vette
sfavilla rai sublimi un sole d'oro;
 danzan nell'opre care le perfette
dell'uomo mastre vere e van cantando
da fiore a fior contente, pregne e schiette;
 l'agnello il rovo salta trastullando
e chiama, chiama "mamma"...coi metalli
s'accorda il cuor materno di rimando.
 Bontà sorride ovunque: piani e valli
abbondan di sereno e di candore
e cullan nuovi sogni a passi e calli...
  Risorta è vita ancor, trionfa Amore
in ogni gemma al bene già disposta,
così, com'è risorto il Gran Fautore.
 Il pellegrin perplesso ammira e sosta
nel suo dolor; s'accorge e si contenta
ch'ei pur risorga alfin, amor non osta!
 Abbraccia i figlioletti e lor rammenta
affetti sconosciuti...oh, son lontani!
nel Patrio Suol!...Spera e fede ostenta.
 Il volto secco tra le rozze mani
rinserra e pensa cheto: antiche feste,
sussurra il cuor, in prieghi caldi e sani;
 campane a storno sente e manifeste,
di gente cara, voci allegre, andare
festosa salutando; vie modeste
 di canti ridondare e gronde chiare
strider di voli amici ai nidi proni,
ilari nel devoto ritornare...
 "Paese mio gentile" esclama, "i buoni
momenti son fuggiti a me negletto:
le note tue per me non hanno suoni!
 Potessi anch'io tornare al tuo cospetto,
quale umil rondinella, a Pasqua almeno!...
anch'io com'ella sono!... ma io...aspetto."
E sulle gote asciuga un pianto ameno.

Bruch-Forbach 7-4-1959.