-020-
Carissimo Giovanni,
ho ricevuto la tua cartolina.Volevo risponderti anch'io per cartolina,in un primo tempo,ma poi pensai che,dato che il tempo mi concede -purtroppo!- lunghe ed inoperose giornate,e tu lo sai com'è la vita,in questo periodo,a Bortigali,sarebbe stato a tradire,non per poco,il mio stesso pensiero,grato per il tuo gentile ricordo, spronato a spaziare nei suoi modesti voli di bontà per un così tuo sagace spirito di interpretazione, nei miei confronti, e, allo stesso istante, di generosa nobiltà nei tuoi. Allora scrissi:
Il tuo messaggio memore,
Ma, visto, un dolce folgore
Ed or ti lascio. Un tepido Bortigali,25/9/1954.- Angelino Frau
P.S. Ho visto Pantaleo solo agli ultimi giorni della sua licenza e, precisamente il giorno prima di partire, lo parlai. Parlammo del più del meno e rasentammo la mia questione al che mi riferì che a Roma non c'è niente da fare. Mi lasciò, perciò, come mi trovò. Parlammo anche di te e dei tuoi progressi non senza notare -ascoltalo in sordina- un po' di risentimento in lui. Orgoglio personale e nulla più; niente di male pertanto. Di salute, a quanto pare, sta bene; mi è sembrato un po' turbato, però, o, per meglio dire, un po' diverso dalle altre sue licenze; non so perchè! Bortigali,25/9/1954.- A. F.
fratello caro, volse
a me qual volo rorido
di ben, tal che mi tolse
de' pensier dal turbine
che questa greve vita
ogn'or m'addita!
Non aspettavo un palpito:
non ho fedele un cuore
che mi rivolga un tenero
saluto e m'abbia amore;
ma tu già scemi l'orbita
indegna dell'affetto
che m'arde in petto.
Per chi, nel duol, attonito
i giorni lenti ascende,
oh com'è caro un'umile
rigo d'amor se splende!
Ne' lumi asciutti suscita
quel pianto ormai chimera
e 1'Alma...spera !
È giunto a me qual farmaco,
che di virtù non manca,
per una fede gracile
già vecchia ed or già stanca;
oh possa questa, in provido
destin, mutar, secure,
le mie sventure!
Sul lagrimato talamo
indarno oblìo cercavo
allor che udì qual gemito
di me vocar... Sognavo?
non fu: si fe' più nitido
e già tremavo, all' erta,
di nuova incerta...
Alfin, renduti liberi
e armato ogn'un di fuoco,
tornaron l'onda a fendere
per Sapri, al Sacro Loco;
colà, discesi, furono
accolti qual ribelli
da'lor fratelli.
Ma Pisacane, spirito
che morte non temeva,
de'vili non fe' calcolo
e innanzi procedeva:
Italia aveva in animo
levata dal timone
del vil Borbone!
E, come mite e tacito
ciel che s'offusca tosto
da far, tuonando, fremere
chi è già per ciò disposto,
de la Certosa all'argine,
de'vili schioppi i tuoni
;scuotté que' buoni!
Oh qual d'Averno vortice
di fuoco, prode e forte
s'accese al grido vindice
di "Italia unita o morte!".
Per ben due volte vinsero
quell'asserviti e storti
di lor più forti !
Ma, come fan nel sorgere,
a zolla smossa arando,
le formichelle, uscivano
-per tema più- sparando
-che per ferir- i perfidi,
sì che s'ingigantivan
e più colpivan...
Que' prodi si battevano,
qual leoni per la prole,
per una fede splendida
non paga di parole,
e tutto, a questa, placidi
offrivan, senza cura
d'una sciagura!
Tra la vermiglia polvere
brandelli uman volavan
e tra gli schianti gemiti
di morte si smorzavan:
correva il sangue rapido
a rivi sul terreno
di morti pieno...!
m'illuminò la mente
e su l'inane tremito
rifulse brio potente:
qual stella in ciel che tenebre
avvolge all'improvviso,
con bel sorriso!
Il tuo pensier sì nobile
mi ridestò il sopito
fasto, ove morte perfida
trecento ne ha rapito,
e vedo Sapri rendere
or, sul voluto fato,
1'onor negato!
Che fede allor! "Dio e popolo"
il prode Carlo adusse
a venti cuori impavidi
che a tutto osar condusse:
s'un legno all'Afro limite
diretto si partiro
celando il tiro...
"A Ponza, a Ponza" l'ordine
diedero senza paura
a quella ciurma debole
che d'obbedir non cura;
ma la congiura intrepida
la meta non ritrose
e allor s'impose...
Giunser così nell'isola
dove il tiranno aveva
chiusi, in qual duro carcere,
colpe chi non teneva;
solo perchè fur' cardini
d'Itali moti ardenti
in Dio ferventi.
Cadevan! Non fu facile
piegar costoro a vinti:
sembravan che lor fossero
trecento mila, e cinti
di scudi invulnerabili,
per loro osar: portento
per sol trecento!
Ma de' nemici il numero
a mano a man cresciuto
travolse di que' giovani
1'ardor più che temuto
e fin di loro all'ultimo
gridar nel caos s'udiva
"Italia Evviva!".
Così sull'arme caddero
non domi pur se spenti,
nè su di loro i secoli
serravano i battenti:
perì il Borbon dal battito
di quella fede invitta
col sangue scritta!
Così quel lido tumido
di martiri sinceri
or posa su quel tumulo
quel che negato ha ieri;
oh inganno uman! Non vergine
riman per ciò di duolo
sul Sacro Suolo...!
Oh beato te che, vigile,
percorri quelle sponde
e vivi di quell'angolo
le sorti sue feconde!
Oh beato te! Quel nettare
anch'io l'intesi ed ora?...
Lo sento ancora....!
Percorri e Terra e Pelago,
o mio cortese amico,
e fa' che '1 senno cingere
possa quel lido aprico
per poi portar nel piccolo
tuo nido le carezze
di quell'ebrezze!
Potessi anch'io, qual subito
uccel, veder quel loco,
onde così pretendere
a questa vita un poco!
già che in questo è misero
il fato mio e la vita
è decrepita...!
pensier ti giunga e un caro
saluto dolce e simile
di ben a un rivo raro...
In cuor mi tieni e, tacito,
rimembra al tuo pensiero
il mio sincero...!!
Tu come stai? Spero bene. Io al solito, come anche in famiglia. Il resto lo puoi ben capire; come sopra ti dissi. Quando vai tu a Busto Arsizio? Scrivimi cosi mi sarà meno noiosa questa terribile inedia. Nuovamente e anche da parte di mia moglie "unu saccu de saludos".
A presto.