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A Serra Giovanni

Carissimo Giovanni,
ho ricevuto la tua cartolina.Volevo risponderti anch'io per cartolina,in un primo tempo,ma poi pensai che,dato che il tempo mi concede -purtroppo!- lunghe ed inoperose giornate,e tu lo sai com'è la vita,in questo periodo,a Bortigali,sarebbe stato a tradire,non per poco,il mio stesso pensiero,grato per il tuo gentile ricordo, spronato a spaziare nei suoi modesti voli di bontà per un così tuo sagace spirito di interpretazione, nei miei confronti, e, allo stesso istante, di generosa nobiltà nei tuoi. Allora scrissi:

 Il tuo messaggio memore,
fratello caro, volse
a me qual volo rorido
di ben, tal che mi tolse
de' pensier dal turbine
che questa greve vita
ogn'or m'addita!

 Non aspettavo un palpito:
non ho fedele un cuore
che mi rivolga un tenero
saluto e m'abbia amore;
ma tu già scemi l'orbita
indegna dell'affetto
che m'arde in petto.

 Per chi, nel duol, attonito
i giorni lenti ascende,
oh com'è caro un'umile
rigo d'amor se splende!
Ne' lumi asciutti suscita
quel pianto ormai chimera
e 1'Alma...spera !

 È giunto a me qual farmaco,
che di virtù non manca,
per una fede gracile
già vecchia ed or già stanca;
oh possa questa, in provido
destin, mutar, secure,
le mie sventure!

 Sul lagrimato talamo
indarno oblìo cercavo
allor che udì qual gemito
di me vocar... Sognavo?
non fu: si fe' più nitido
e già tremavo, all' erta,
di nuova incerta...

 Alfin, renduti liberi
e armato ogn'un di fuoco,
tornaron l'onda a fendere
per Sapri, al Sacro Loco;
colà, discesi, furono
accolti qual ribelli
da'lor fratelli.

 Ma Pisacane, spirito
che morte non temeva,
de'vili non fe' calcolo
e innanzi procedeva:
Italia aveva in animo
levata dal timone
del vil Borbone!

 E, come mite e tacito
ciel che s'offusca tosto
da far, tuonando, fremere
chi è già per ciò disposto,
de la Certosa all'argine,
de'vili schioppi i tuoni
;scuotté que' buoni!

 Oh qual d'Averno vortice
di fuoco, prode e forte
s'accese al grido vindice
di "Italia unita o morte!".
Per ben due volte vinsero
quell'asserviti e storti
di lor più forti !

 Ma, come fan nel sorgere,
a zolla smossa arando,
le formichelle, uscivano
-per tema più- sparando
-che per ferir- i perfidi,
sì che s'ingigantivan
e più colpivan...

 Que' prodi si battevano,
qual leoni per la prole,
per una fede splendida
non paga di parole,
e tutto, a questa, placidi
offrivan, senza cura
d'una sciagura!

 Tra la vermiglia polvere
brandelli uman volavan
e tra gli schianti gemiti
di morte si smorzavan:
correva il sangue rapido
a rivi sul terreno
di morti pieno...!

 Ma, visto, un dolce folgore
m'illuminò la mente
e su l'inane tremito
rifulse brio potente:
qual stella in ciel che tenebre
avvolge all'improvviso,
con bel sorriso!

 Il tuo pensier sì nobile
mi ridestò il sopito
fasto, ove morte perfida
trecento ne ha rapito,
e vedo Sapri rendere
or, sul voluto fato,
1'onor negato!

 Che fede allor! "Dio e popolo"
il prode Carlo adusse
a venti cuori impavidi
che a tutto osar condusse:
s'un legno all'Afro limite
diretto si partiro
celando il tiro...

 "A Ponza, a Ponza" l'ordine
diedero senza paura
a quella ciurma debole
che d'obbedir non cura;
ma la congiura intrepida
la meta non ritrose
e allor s'impose...

 Giunser così nell'isola
dove il tiranno aveva
chiusi, in qual duro carcere,
colpe chi non teneva;
solo perchè fur' cardini
d'Itali moti ardenti
in Dio ferventi.

 Cadevan! Non fu facile
piegar costoro a vinti:
sembravan che lor fossero
trecento mila, e cinti
di scudi invulnerabili,
per loro osar: portento
per sol trecento!

 Ma de' nemici il numero
a mano a man cresciuto
travolse di que' giovani
1'ardor più che temuto
e fin di loro all'ultimo
gridar nel caos s'udiva
"Italia Evviva!".

 Così sull'arme caddero
non domi pur se spenti,
nè su di loro i secoli
serravano i battenti:
perì il Borbon dal battito
di quella fede invitta
col sangue scritta!

  Così quel lido tumido
di martiri sinceri
or posa su quel tumulo
quel che negato ha ieri;
oh inganno uman! Non vergine
riman per ciò di duolo
sul Sacro Suolo...!

  Oh beato te che, vigile,
percorri quelle sponde
e vivi di quell'angolo
le sorti sue feconde!
Oh beato te! Quel nettare
anch'io l'intesi ed ora?...
Lo sento ancora....!

 Percorri e Terra e Pelago,
o mio cortese amico,
e fa' che '1 senno cingere
possa quel lido aprico
per poi portar nel piccolo
tuo nido le carezze
di quell'ebrezze!

 Potessi anch'io, qual subito
uccel, veder quel loco,
onde così pretendere
a questa vita un poco!
già che in questo è misero
il fato mio e la vita
è decrepita...!

 Ed or ti lascio. Un tepido
pensier ti giunga e un caro
saluto dolce e simile
di ben a un rivo raro...
In cuor mi tieni e, tacito,
rimembra al tuo pensiero
il mio sincero...!!

Bortigali,25/9/1954.- Angelino Frau

P.S. Ho visto Pantaleo solo agli ultimi giorni della sua licenza e, precisamente il giorno prima di partire, lo parlai. Parlammo del più del meno e rasentammo la mia questione al che mi riferì che a Roma non c'è niente da fare. Mi lasciò, perciò, come mi trovò. Parlammo anche di te e dei tuoi progressi non senza notare -ascoltalo in sordina- un po' di risentimento in lui. Orgoglio personale e nulla più; niente di male pertanto. Di salute, a quanto pare, sta bene; mi è sembrato un po' turbato, però, o, per meglio dire, un po' diverso dalle altre sue licenze; non so perchè!
Tu come stai? Spero bene. Io al solito, come anche in famiglia. Il resto lo puoi ben capire; come sopra ti dissi. Quando vai tu a Busto Arsizio? Scrivimi cosi mi sarà meno noiosa questa terribile inedia. Nuovamente e anche da parte di mia moglie "unu saccu de saludos". A presto.

Bortigali,25/9/1954.- A. F.